Mendula Monte Arcosu - Produzione Mandorle Sarde
Mendula, l'azienda in cui raccogliamo, produciamo e confezionioniamo le mandorle, confina a sud con l'oasi del WWf e a nord si estende a cavallo del confine del SIC di Monte Arcosu.
Queste terre sono state utilizzate da sempre per il pascolo degli ovini ed erano talmente povere che per ripulirle si utilizzava il fuoco, da cui il toponimo "Pranu Narboni" che nel Sulcis assume questo significato.
Nell'ultimo dopoguerra con la comparsa dei trattori e l'alto prezzo del grano esse furono coltivate, ma ciò durò pochi anni: tornarono le pecore e al loro seguito comparvero le foraggere e l'aratro per dare ossigeno ad una terra che si compattava e dava pochissima erba.
In vent'anni le piogge, favorite dalle forti pendenze e dal suolo arato, cominciarono a trascinare a valle la poca sostanza organica e le parti più fini, lasciando solo lo scheletro e dando l'impressione che le pietre si moltiplicassero.
Era come se la macchia mediterranea volesse riprendersi il territorio che gli era stato sottratto nel dopoguerra dai trattori, che il Narboni imponesse il rispetto del suo nome.
Il Mandorlo è l'albero della " rinascita" di questa terra.
I problemi più importanti che che si sono presentati al momento dell'impianto erano:
1) l'esiguo strato agrario
2) la difformità dei suoli. Le caratteristiche del suolo cambiano continuamente passando da suoli scarnificati dalle alluvioni a strati di argilla finissima che rendono difficile la percolazione delle acque. Una difformità dei suoli significa una difformità di sviluppo delle piante tale da rendere antieconomico l'impianto.
3) la forte presenza nell'area di un coleottero, il Capnodis, che depone le sue uova alla base delle drupacee, alla schiusura le larve penetrano nelle piante provocandone la morte
4) la scarsità d'acqua
5) la forte presenza di fauna selvatica.
Per risolvere questi problemi sono stati messi in atto una serie di accorgimenti. In primo luogo sono stati interrati tubi e gocciolatori, e nei pressi i di ogni pianta si sono fatti fuoriuscire dei tubicini che distribuiscono l'acqua.
La quantità d'acqua che viene erogata ad ogni pianta è stabilita in relazione alle caratteristiche della porzione di suolo su cui poggia la stessa. Si passa così da 4 litri a 20 litri ora, allo scopo di rendere uniforme l'umidità nell'impianto. Si è costruìto un impianto a portata variabile in cui è determinante la conoscenza dei terreni acquisita negli anni dall'agricoltore, e dal suo saper leggere i "colori" della terra. Questo impianto d'irrigazione a portata variabile è risultato determinante nella riuscita del tutto, specialmente nelle prime fasi, che è il momento più delicato nella crescita di un albero.
Intorno ad ogni pianta è stato steso un telo di plastica di 1,20 per 1,20 che ricopre i tubicini , permette alle radici di occupare l'esiguo strato agrario fino in superficie, limita l'evaporazione e impedisce alle larve del Capnodis di raggiungere le radici.
Il tutto è stato ricoperto da un consistente strato di terra in modo che i cinghiali non entrino in contatto col suolo umido e quindi si è evitato che scavino alla base delle giovani piante. In questo modo gli stessi cervi quando si avvicinano alle piante per segnare il proprio territorio non sprofondano nel suolo umido "asfaltandolo". Quando le piante sono entrate in produzione è stato necessario recintare l'impianto a misura di cervo , visto i notevoli danni che essi arrecano al frutto pendente.